Dedico metà della mia pausa pranzo a leggere libri di marketing e argomenti affini. Mi piace tenermi informato (e formato), soprattutto considerando quanto è vasto questo settore. Questa volta ho scelto “Tribù” di Seth Godin, un libro che mi ha spesso irritato durante la lettura. Ma andiamo per step e vi spiego perché.
Chi è Seth Godin e di cosa parla Tribù
Seth Godin è un punto di riferimento per il marketing contemporaneo. È autore di svariati best seller che hanno segnato veri e propri cambi di era nel settore. Di Godin ho già letto il super classico “La Mucca Viola” (che consiglio vivamente) e anche “Questo è il Marketing”. Nella mia libreria ho altri due titoli in attesa: “La Pratica” e “Il Marketing racconta balle”. Quindi capirete che non sono certo un detrattore dell’autore, anzi, ne sono un estimatore.
Passiamo a “Tribù“. Il sottotitolo del libro recita: “Perché il mondo ha bisogno di un leader come te”. Su questo partiamo male, perché suona tanto come un libro motivazionale, e io odio questa categoria di libri. Però capisco che si tratti marketing e che serva per vendere; io non sono il mercato, quindi oggettivamente quel sottotitolo punta a un target diverso dal sottoscritto. Ma andiamo al contenuto.
Il libro è del 2008 (tenete a mente questa data) e parla di leadership: tratta delle caratteristiche dei leader, di come dovrebbero comportarsi, di come si guida una tribù, cosa piace e non piace alle tribù, e cosa fare e non fare per creare e guidare gruppi di persone.
Ovviamente, questo libro non è destinato solo a chi vuole essere un leader. Anche un brand può guidare le sue tribù. Sostituite la parola “tribù” con “community”, e capite subito perché questo libro può servire anche a un brand. Ma perché lo trovo tossico?
Non tutti dobbiamo essere leader: basta con questa retorica tossica
Per molti addetti del settore, che un “signor nessuno” metta in dubbio Godin potrebbe sembrare una blasfemia. Ottimo, è proprio l’obiettivo di questo blog. Partiamo da un presupposto: ho cambiato 3 lavori in 4 anni per la mia smania di crescere e imparare cose nuove. Ho bisogno di stimoli sempre diversi, di imparare da persone più brave di me e di crescere. Questa però è la mia visione del mondo, e sottolineo la mia, non pretendo di essere circondato da mie fotocopie.
Sono per natura trascinante. Ho fatto il rappresentante degli studenti e coordinare gruppi di persone mi piace, è una cosa che sento mia. Quindi mi piace fare il leader, e posso dire che chi mi circonda mi ha spesso attribuito il potere della leadership.
Da questo libro (e da tanto di ciò che si legge su LinkedIn) pare che o sei un leader, una persona super intraprendente, vogliosa di cambiare mille lavori, oppure sei putrida feccia. Beh, fatevelo dire: questa cultura è tossica!
Se qualcuno preferisce un posto stabile, tranquillo, con un limitato carico di responsabilità o, in generale, un lavoro routinario, a voi cosa importa? Non esiste una visione univoca del mondo e del lavoro. Ognuno è ciò che vuole, ognuno fa le scelte che crede più giuste e quelle più adatte alla sua indole. Il resto sono chiacchiere inutili e, purtroppo, tossiche!
Vi immaginate un mondo di soli leader? Non potrebbe esistere, è un’utopia. Il mondo funziona solo se le persone sono assortite e ognuno ricopre un ruolo peculiare.
Che bello essere persone normali
C’è un passaggio del libro che mi ha fatto proprio urlare di rabbia. L’autore descrive una studentessa brillante, che entra a lavorare in una grossa azienda di beni di largo consumo, in cui è stata promessa la direzione di una famosa marca.
L’autore aggiunge: “Ha intenzione di rimanere una decina d’anni, poi avere un figlio e lasciare il posto per avviare un’attività in proprio. Diventerà una vera esperta nel far pubblicare i buoni omaggio sul giornale della domenica, ma non si distinguerà certo nella risoluzione di nuovi problemi. Che spreco”.
Ecco, leggendo questo come non incazzarsi? Se a questa donna va bene fare questo, qual è il problema? Perché giudicare così brutalmente? Non tutti aspirano a fare carriera o a essere leader.
Su LinkedIn ho letto un post di Immacolata Fiorenza, che iniziava così: “Ma quindi una persona ‘normale’, non fuori dal comune, che non si inventa niente di eccezionale per farsi notare, non vale niente?”. Ecco il punto: se non sbraitiamo per emergere, non siamo nulla. Ma chi ha detto che dobbiamo emergere per forza? A volte va bene anche essere mediocri.
Le differenze generazionali: il mondo è cambiato
Come dicevo, il libro è stato scritto nel 2008. Il mondo, il mercato e le persone sono radicalmente cambiati. Abbiamo affrontato la Grande Depressione, la crescita dei social media, una crescente globalizzazione, senza dimenticare la pandemia di Covid-19, e l’ingresso della Generazione Z nel mercato del lavoro.
Il Covid-19, con il lockdown e lo smart working forzato, ci ha fatto rivalutare le nostre priorità. A riprova di ciò, abbiamo visto una serie di licenziamenti di massa quando la situazione ha iniziato a normalizzarsi. La Generazione Z ha valori diversi: ora a contare è l’equilibrio vita-lavoro, più della carriera o dello stipendio.
Conclusioni
Non voglio offrirvi una rassegna completa ed esaustiva sulle coorti generazionali e sugli effetti della pandemia, ma questo ci basta per capire che forse, quando il libro è stato scritto, nessuno lo avrebbe giudicato tossico. Oggi, con nuove consapevolezze, una società diversa e nuove generazioni, ciò che Godin scrive appare anacronistico.
Ricordiamolo: non tutti dobbiamo essere leader. Non dobbiamo per forza emergere, brillare sempre e ovunque. Anche essere banali e mediocri va bene.