“Dimmi di te” di Chiara Gamberale: come abbiamo fatto a crescere?

Oggi avevo in programma di scrivere un articolo sull’utilizzo della comunicazione nelle dittature e in politica, poi stamattina ho terminato il libro “Dimmi di te” di Chiara Gamberale. Questa lettura, ammetto, mi ha devastato emotivamente; non potevo scrivere di altro se non di questo libro. L’articolo non sarà una recensione, ma una riflessione.

Di cosa parla “Dimmi di te”

Avete un po’ imparato a capire che questo blog non è tematico; ciò che accomuna gli articoli qui presenti è un punto di vista che prova ad essere differente. Il libro di Chiara Gamberale si sposa perfettamente con questa visione.

La protagonista si ritrova a 40 anni con una figlia, frutto di una relazione interrotta e mai realmente nata. Si trasferisce nel quartiere dei genitori, inaugurando una sorta di nuovo stile di vita. Chiara, la protagonista, non riesce più a scrivere e chiede aiuto al padre, che le consiglia di mettere da parte le sue quisquiglie e ascoltare i telegiornali, concentrarsi sulle cose vere. Questo non succederà.

Chiara per caso incontra un suo conoscente degli anni del liceo, un ragazzo che con lei faceva il corso di teatro. Lei trova davanti una persona diversa ma uguale, cresciuta ma con alcuni tratti del ragazzo che aveva conosciuto lei. Da qui l’idea: come sono cresciute le persone della sua adolescenza? Cos’è successo a quelle che lei chiama le “stelle polari” della sua giovinezza? Potranno, forse, essere d’aiuto per crescere dato che la protagonista sente di non averlo fatto?

Dimmi di te, bambina marcia

Nel libro ricorre il concetto di “bambina marcia”, ovvero quell’adulto che non è riuscito a crescere davvero, che è rimasto bambino in un’età in cui bambini non lo si può più essere. Chiara è una bambina marcia che non sa fare i conti con le relazioni sentimentali. L’unica sua relazione è quella, quasi simbiotica, con sua figlia.

Ma cosa scopre Chiara intervistando queste “stelle polari”? Il risultato è uno spaccato di vita emotivamente devastante o, almeno, per me lo è stato. Non esiste un solo modo di crescere: ognuno è cresciuto a modo suo, ha più o meno rinnegato i suoi obiettivi di adolescente, li ha mantenuti intatti, li ha dimenticati, li ha sacrificati all’altare di qualcosa.

Dal rappresentante di istituto alla figa della scuola adorata da tutti, fino al ragazzo di cui era segretamente innamorata, ognuno ha una storia non prevista, una storia non canonica: facile, difficile, dolorosa, gioiosa, di affanno, di paura, di accettazione, di rassegnazione. Ogni storia, però, insegna qualcosa a Chiara, le fa fare un passo in avanti.

Non esiste un modello da seguire

Mentre leggevo le pagine di questo straordinario libro, riflettevo su come capiti spesso di pensare che ci sia un modello unico da seguire: cresci, vai a scuola, trovi un fidanzatino, poi l’università, cerchi di laurearti in tempo, il lavoro, lo sport perché devi avere un bel fisico, coltiva interessi, mantieni le relazioni sociali, nel mentre devi aver già fatto un figlio, comprato una casa e aggiungerei un gran vaffanculo a tutti.

Vi è mai capitato di sentire le pressioni sociali di questo modello? Vi è mai capitato di sentirvi indietro? Di non essere abbastanza, di essere fuori rotta, lontani e tagliati fuori da quello che è il percorso che, non si sa per quale motivo, dovreste fare? A me è capitato, e penso capiti a tantissime persone. Ma chi lo ha detto che esiste un modello omologato?

Io ero un adolescente secchione e saccente, che lottava con un’omosessualità che non accettava. Quindi, mentre tutti facevano le prime esperienze sessuali e sentimentali, io lottavo con me stesso, non vivevo la vita di tutti gli adolescenti, non mi permettevo di essere me stesso, non mi permettevo di vivere liberamente chi ero.

Poi, col tempo, ho fatto pace con la mia omosessualità. A 23 anni è arrivata la prima relazione, per me devastante. Poi, a 26 anni, è arrivata la seconda, complicata anche questa. Ammetto di fare fatica nelle relazioni. La psicoterapia mi sta aiutando a capire qualcosa in più, ma trovo comunque le relazioni veramente faticose.

La paura del fuori rotta

Ma perché vi sto dicendo questo? Vi ho descritto un percorso molto poco canonico, che tutt’ora canonico non è. Ma prima di accettare che la cosa possa andare bene così, ho dovuto lavorare tanto con la mia terapeuta. Non vorrei essere troppo cervellotico, proverò a spiegarlo in maniera semplice.

Viviamo in una società che veicola modelli standard, che vive di omologazioni e semplificazioni. I mass media prima, i social media oggi, pullulano di modelli da seguire, di persone a cui ispirarsi, di strade suggerite. Siamo bambini marci di questa società e, se non seguiamo questi modelli, ci sentiamo tagliati fuori, sbagliati, inadatti, non abbastanza, giudicati, incompleti. Vogliamo restare in quel percorso, perché uscirne ci fa troppa paura, ci fa paura andare fuori rotta.

Peccato che le vere esperienze si facciano proprio fuori rotta. Se uno segue sempre ciò che altri hanno già fatto, se fa sempre ciò che gli viene suggerito, non scopre nulla, non conosce nulla di nuovo, si limita a rivivere pedissequamente qualcosa fatto da altri.

Perché il libro mi ha devastato

Il libro, nel raccontare la storia di Chiara e delle sue “stelle polari”, ci presenta storie che fa male leggere, ti fanno sentire un pugno nello stomaco. Sono storie scomode, dolorose. Storie di tradimenti, amori travagliati, amori che ti tolgono il fiato. Storie che nessuno vorrebbe vivere, che non sono in nessun binario, storie che sono andate fuori rotta.

Storie che però fanno crescere, storie che sono vita, storie reali. A me l’amore fa paura, lo ammetto, e questo libro mi ha messo davanti a tutte quelle che sono le mie paure, davanti a quello che mai vorrei vivere. C’è però un grosso “ma”: meglio seguire il modello canonico che seguono tutti o rendersi conto che quel modello non rappresenta la vita reale?

Per crescere serve andare fuori rotta.

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