Il Fascismo delle idee e Liliana Segre: il rischio delle opinioni polarizzate

Il 29 novembre, la Senatrice a Vita Liliana Segre ha scritto una lettera al Corriere della Sera dal titolo “Perché non si può parlare di genocidio a Gaza, ma di crimini di guerra e contro l’umanità”. Dal 7 ottobre, la Senatrice Segre è stata spesso tirata per la giacchetta, pretendendo da lei che dicesse parole che parte dell’opinione pubblica voleva sentir dire. Possiamo sintetizzare così: o la pensi come ci aspettiamo o ti attacchiamo. Peccato che questo sia molto pericoloso.

Chi è Liliana Segre e la guerra a Gaza

Liliana Segre è memoria fatta carne. Superstite dell’Olocausto, ha dedicato la sua vita a testimoniare quanto abbia significato lo sterminio degli ebrei. Nel 2018 è stata nominata Senatrice a vita dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. In un momento di revisionismo storico, dove forti erano le prese di posizione di chi sostiene che l’Olocausto non sia mai esistito, con le fake news annesse, Mattarella ha ben pensato di nominare Senatrice a vita una sopravvissuta dell’eccidio delle deportazioni naziste.

Ascoltare Liliana Segre è bellissimo. Racconta tutto con serafica calma, pesa le parole, le sceglie in maniera attenta e puntuale. Tutte le volte che l’ho ascoltata mi sono sentito più ricco. In un mondo in cui le opinioni sono urlate, lanciate con ferocia, ascoltare chi si esprime con pacatezza offre un piacere raro.

Successivamente alla nomina al Senato della Repubblica, Liliana Segre ha conosciuto una certa popolarità. Fino al 7 ottobre. Dopo la risposta di Israele agli attacchi di Hamas, nelle varie tribune politiche e nei giornali c’è stato un bel trambusto. Si pretendeva, quasi, che le persone si schierassero per forza o con Hamas o con Israele. Peccato che questa sia una brutale semplificazione.

Liliana Segre e la questione genocidio

In questo articolo non voglio offrire un’argomentazione completa sulla questione palestinese, su quanto sia legittima la risposta di Israele o su quanto sia inappropriata. La questione su cui voglio focalizzarmi è tutta di natura comunicativa.

Liliana Segre si è sempre detta preoccupata per i morti di ambedue gli schieramenti; come spesso dice, come madre e come nonna ha a cuore la vita di tutti i bambini. Peccato che qualcuno abbia fatto circolare una fake news, in cui si diceva che la Senatrice avesse dichiarato di avere a cuore solo i bambini israeliani. La questione diventa ancora più complessa attorno alla parola “genocidio”.

Si fa un gran discutere se quello che sta avvenendo a Gaza, da parte di Israele, sia un genocidio o meno. Il Sudafrica ha anche intentato una causa per genocidio contro Israele presso la Corte Internazionale di Giustizia. Liliana Segre ha sempre rifiutato l’uso di questa parola. Allora, giù di attacchi pesanti contro la Senatrice. Il sunto è semplice: o sei d’accordo con noi e usi quella parola o per noi sei il male assoluto. Peccato che le cose siano più complesse di così.

La polarizzazione delle opinioni

Un tratto della lettera della Segre al Corriere mi ha molto colpito, ve lo lascio di seguito:

O ti adegui e ti unisci alla campagna che tende ad imporre l’uso del termine ‘genocidio’ per descrivere l’operato di Israele nella guerra in corso nella Striscia di Gaza, o finisci subito nel mirino come ‘agente sionista’. Le cose in realtà sono più complesse e colpisce che alcuni tra i più infervorati nell’uso contundente della parola malata si trovino in ambienti solitamente dediti alla cura, talora maniacale, del politicamente corretto, del linguaggio sorvegliato che si fa carico di tutte le suscettibilità fin nelle nicchie più minute”.

Parla un po’ da solo questo estratto. Si pretende a tutti i costi che la Segre si schieri a favore di qualcosa che gli altri pretendono. Il resto, la sua storia, le sue parole, non contano. Siamo fermi a una parola. Questo caso mi ricorda quello di Arisa e le sue dichiarazioni su Giorgia Meloni. Il caso è molto simile a livello concettuale.

La cantante di Sincerità, da sempre vicina alla comunità LGBTQ+, intervistata da Peter Gomez, aveva dichiarato di apprezzare la Meloni. In particolare, aveva detto che, nei confronti della comunità omosessuale, la Premier “si stesse comportando come una mamma severa”. Da queste parole, condivisibili o meno, si scatenò il putiferio. Arisa dovette rinunciare alla partecipazione a un Pride, i suoi profili furono invasi di insulti. Con queste parole, tutti avevano dimenticato tutto l’appoggio di Arisa nei confronti della comunità LGBTQ+.

Il Fascismo delle opinioni e il pensiero unico

Il caso Segre e il caso Arisa, per quanto differenti negli argomenti, sono uguali. Cosa ci fanno capire? A mio avviso ci mettono di fronte a una verità: non vogliamo le sfumature, o le cose sono bianche o sono nere. Non vogliamo opinioni tiepide.

Questo si rifà a dei bias mentali a cui tutti siamo soggetti. Semplificando molto, il bias di conferma ti porta a cercare opinioni e informazioni che vadano a confermare la tua idea. Il bias di conferma porta al bias di gruppo, ovvero un meccanismo che porta gli individui ad adattare totalmente il proprio pensiero a un gruppo. Mettendo insieme tutto, il risultato è l’estremizzazione delle opinioni: o la pensi totalmente come il gruppo o nulla.

Ovviamente ho molto semplificato, ma funziona così. Siamo sempre più di fronte a un “noi contro loro”. Gruppi netti, schieramenti contrastanti. Peccato che il mondo non sia fatto di contrapposizioni nette. Il mondo è fatto di sfumature, le opinioni sono cose complesse come complesso è quello che ci accade attorno.

Non possiamo ridurre tutto a un qualcosa di dicotomico, le sfumature sono importanti. Se tutto è bianco o nero, stiamo perdendo pezzi, stiamo perdendo la profondità delle cose.

Perché il Fascismo?

Nel titolo di questo articolo ho scritto “Il Fascismo delle idee”. Ho lasciato da parte fino alla fine questo concetto, perché era necessario attraversare tutta la questione per comprendere il titolo. Il Fascismo era un regime, e come tutti i regimi reprimeva il dissenso e faceva fuori gli oppositori che la pensavano diversamente dal regime.

Ecco, penso che abbiate capito: se pretendiamo che ci sia un’idea unica e non accettiamo le sfumature, non siamo altro che dei fascisti delle opinioni.

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