Beppe Grillo è stato defenestrato dall’assemblea del nuovo Movimento 5 Stelle di Giuseppe Conte. Grillo ha chiesto di rifare la votazione, questo cementa l’approccio ai limiti del fascista che, a mio avviso, ha sempre caratterizzato M5S.
Resta una questione di fondo: il movimento del comico genovese è sempre stato una contraddizione in termini. Un partito non partito che si comporta da partito.
L’avvento del Movimento 5 Stelle
Quando si iniziarono a sentire le prime notizie del Movimento 5 Stelle non avevo nemmeno diciotto anni. Il mio primo approccio è avvenuto a un banchetto che raccoglieva firme per non ricordo quale referendum, ho però in memoria i toni enfatici dei volontari che raccoglievano le firme.
Senza voler analizzare in maniera esaustiva la nascita del movimento, possiamo dire che i grillini nascono sull’onda di una generale sfiducia nei confronti della politica, il ventennio berlusconiano, una sinistra incapace di proporre una reale alternativa. La nascita della propaganda pentastellata, come tutti i populismi, nasce da esigenze reali del paese.
Grillo e Casaleggio intercettavano il malcontento di chi vedeva, anche con buona ragione, la politica come un circolo di privilegiati, di gente che si faceva portatrice solo dei propri interessi e non di quelli dell’elettorato nonché quelli del paese. A livello comunicativo, va dato atto, Grillo e Co. hanno sempre lavorato bene. Già solo parlare di destra e sinistra come “PDL e PD meno L” emergeva chiara l’idea che al di là degli schieramenti politici, non ci fosse distinzione di fondo nella gestione della cosa pubblica.
Le varie contraddizioni di M5S
M5S è un partito populista. Come accennavo prima, i populismi partono da problemi reali ma danno soluzioni inefficaci perché frutto di eccessive semplificazioni. Va riconosciuto che l’ingresso in politica di questo movimento ha costretto la politica italiana a fare i conti con i mal di pancia, ripeto leciti, dell’elettorato.
Finanziamento pubblico ai partiti, privilegi, vitalizi, stipendi e in generale il costo della politica. Peccato che la critica fosse argomentata senza il ben che minimo pragmatismo, argomentando da chi in politica non c’era mai stato. Vediamo alcune contraddizioni di queste battaglie di M5S.
Partiamo dal limite del secondo mandato. In ogni ambito l’esperienza fa la differenza, anche in politica. Per chi è appassionato del tema, ricorderà sicuramente l’elezione del Presidente della Repubblica che portò alla riconferma di Giorgio Napolitano. Capigruppo di Camera e Senato per i grillini erano Crimi e Lombardi; lei non sapeva nemmeno che ci fosse il limite dei 50 anni per poter essere eletto al Quirinale. La loro incompetenza e impreparazione emergeva in ogni intervista.
Era gente avulsa da ogni logica politica, da ogni approccio istituzionale, da cosa significasse stare in parlamento. Le cose nel corso della legislatura sono cambiate: si chiama esperienza. Se porti in parlamento individui votati online con un centinaio di voti, senza né arte né parte, penso che il risultato non possa essere diverso da quello visto.
Però, secondo la logica grillina, per non rendere la politica un mestiere, si fanno due mandati e a casa. Ecco, a casa va anche l’esperienza maturata e quindi anche una classe dirigente che ha imparato a muoversi nelle istituzioni.
Una casalinga Ministro dell’economia
C’é un’affermazione di Beppe Grillo mi ha sempre colpito: affermava che, se M5S fosse andato al governo, avrebbe messo al Ministero dell’Economia una casalinga; a suo avviso una casalinga, occupandosi dei conti della famiglia, avrebbe saputo tenere i conti dello Stato in ordine.
Questa affermazione è estremamente pericolosa. A livello comunicativo è perfetta: dico all’elettorato che percepisce la politica lontana, che si sente ignorato dai politici, che dalla sua frustrazione di “normale” può ambire a diventare classe dirigente. Peccato che l’economia sia una materia complicata, ma questo Grillo non lo può dire perché significherebbe ammettere che per fare il Ministro dell’Economia non basta saper far quadrare i conti di casa.
Il Movimento Cinque Stelle al governo
Quando con la Lega i grillini diedero vita al Governo Giallo-Verde arrivò il bagno di realtà. Già solo per la nascita del suddetto governo, il movimento dovette rinunciare allo storico dogma del “non alleanze”. Questo imbastardiva, di fatto, le ragioni per cui M5S era nato: si erano alleati con un partito che faceva parte dell’establishment che loro stessi combattevano.
Il Premier, come tutti ricorderete, era Giuseppe Conte. Nella squadra dei ministri c’erano parecchi individui di dubbie capacità: si pensi a Danilo Toninelli o lo stesso Luigi Di Maio. Su quest’ultimo si faceva ironia dicendo “un Ministro del Lavoro che non ha mai lavorato”.
Nel passaggio dal Giallo-Verde al Giallo-Rosso è poi emersa l’ennesima contraddizione del Movimento. Chi criticava i giochi di palazzo e le alleanze, in una legislatura si è alleato con due partiti di schieramenti opposti. Prendiamo Luigi Di Maio: da Ministro del Lavoro a Ministro degli Esteri: così di botto, senza senso, senza meriti ma solo per logiche di scacchiere politico.
Il Movimento Cinque Stelle, che non si è mai voluto definire un partito, nei fatti una volta entrato in parlamento, si è comportato e si comporta esattamente come qualsiasi partito seduto negli emicicli parlamentari.
Beppe Grillo: un Duce sbiadito
Ho sempre pensato che la retorica di M5S fosse, non poco velatamente, fascista o almeno dittatoriale. Gian Roberto Casaleggio teorizzava la scomparsa del parlamento, sostenendo che tutti i provvedimenti sarebbero dovuti essere votati dai cittadini. Questo, oltre ad essere utopico, è fascista.
Per il fascismo, il parlamento era un bivacco di manipoli, un organo al soldo del regime, che si limitava a ratificare le leggi che il Duce proponeva. La democrazia diretta, ha come ratio di fondo l’idea di eleggere qualcuno più competente che si occupi di discutere e decidere. Io, come cittadino, pur essendo laureato in economia, non ho le competenze per decidere sulla Legge di Bilancio. Secondo quale logica, io potrei decidere, ad esempio, su questioni in materia sanitaria?
In assenza di un parlamento, che discute e si scontra, la democrazia si ridurrebbe (ancora di più) a un gioco di influenza delle masse. Provvedimenti complessi verrebbero fatti votare grazie a iper-semplificazioni, vincerebbe chi saprebbe comunicare meglio la semplificazione, ma non la sostanza della decisione. Quindi, il popolo ratificherebbe, esattamente come il parlamento durante il Ventennio.
Data questa premessa, non mi stupisce che Grillo si comporti da Duce, affermando sostanzialmente che il Movimento è suo e che alcune cose non si possono mettere in discussione, nonostante lo statuto dica il contrario. Lo stesso statuto a cui si appella, per far ripetere la votazione che lo ha defenestrato.
Fa ridere che il movimento che predicava di essere il rappresentante della più alta democrazia, si trovi a fare i conti con una figura non eletta da nessuno che giochi a fare il dittatore, non accettando di aver fatto il suo tempo.
Conclusioni
Scrivere questo articolo è stato difficile, le cose da dire erano tante così come erano tante le considerazioni. Spero di essermi fatto capire. Al netto di tutto resta una questione: in politica le posizioni nette pagano. Dire: mai alleanze, mai politici di professione, mai questo mai quell’altro, sono cose che hanno pagato.
Però ora i consensi di M5S sono al minimo storico, come mai? Beh, le posizioni nette pagano, ma la coerenza sul lungo termine paga di più. Il Movimento ha rinnegato tutto, tranne il suo essere una contraddizione fatta partito.