I mercanti del tempio: le contraddizioni della Chiesa Cattolica

Un po’ di tempo fa ero in vacanza in Veneto, ho visitato Padova e quindi anche la Basilica di Sant’Antonio. La suddetta Basilica era circondata da bancarelle che vendevano oggetti con le immagini del Santo. La sensazione che ho avuto è che, con buona probabilità, Gesù avrebbe rovesciato tutti quei banchi, come nella scena narrata nel Vangelo.

Il mio rapporto con la fede

Vengo da un paese di poco più di tremila anime in Provincia di Lecce. Come avevo già affermato in un altro articolo, questi paesi sono caratterizzati da una totale commistione di vita religiosa e vita civile. La vita del paese ruota, sostanzialmente, attorno agli eventi religiosi. Per cui sono cresciuto con una forte presenza religiosa, subendo sempre il fascino della religione. Da grande ho compreso che quel fascino derivava dagli aspetti socio-culturali che la religione implica all’interno di un contesto sociale.

Non sono più né credente né praticante. Ho frequentato settimanalmente la chiesa fino al primo anno di università. Ero un credente atipico: se il cattolico medio deve accettare dogmi e non porsi molte domande, io di domande me ne facevo fin troppe. Studiavo, leggevo, indagavo e cercavo di capire. Della fede cattolica, troppe cose non mi tornavano per niente: troppe contraddizioni, troppe incongruenze.

Avrei tanto voluto avere la fede. Per me, negli anni in cui credevo, questa era un bastone, un appoggio nei momenti di difficoltà, un supporto quando non riuscivo ad affrontare cose più grandi di me. Però non ho il dono della fede: non credo in nulla che non sia reale e dimostrabile, non credo nemmeno all’oroscopo. Gli anni di fede, tuttavia, mi hanno permesso di vedere da dentro cos’è la Chiesa.

Santuari, templi e mercati

In Puglia è particolarmente venerato Padre Pio da Pietrelcina. Che io ne abbia memoria, l’ultima volta che sono stato a San Giovanni Rotondo, dove si trova il Santuario del frate francescano, frequentavo ancora le scuole superiori. Di quel viaggio ricordo perfettamente una cosa: un enorme mercato che di religioso non aveva nulla, se non le immagini stampate su oggetti di ogni tipo.

L’economia di San Giovanni Rotondo ruota attorno alla figura di questo Santo. Di religioso c’è davvero poco: solo business e vendita di articoli religiosi. Padre Pio era un frate francescano; la regola dell’ordine richiede di fare voto di povertà. Ora, il corpo del Santo riposa in una cripta il cui soffitto è ricoperto d’oro. Povertà e oro. Nulla da aggiungere.

Tornando all’altro Santo, quello di Padova, fuori dalla sua Basilica ho rivissuto le stesse scene, seppur in maniera ridotta, che avevo vissuto a San Giovanni Rotondo: bancarelle, bancarelle, bancarelle. Sant’Antonio da Padova, come Padre Pio, era un frate francescano, quindi anch’egli soggetto al voto di povertà.

Eppure, l’immagine del Santo originario di Lisbona campeggiava su ogni oggetto possibile: candele di ogni dimensione e prezzo, effigi, stampe, rosari, ventagli. Tutto acquistabile purché rechi l’immagine di Sant’Antonio.

Così accade in ogni città in cui è presente un santuario, una basilica, un santo o una figura assimilabile da venerare. Ma c’è una scena biblica che dovrebbe farci riflettere.

I mercanti del tempio: cosa farebbe il Messia?

Frequentando la chiesa e la messa della domenica, ricordo un bellissimo passo del Vangelo di Giovanni. Ve lo riporto integralmente:

“Si avvicinava la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe e, là seduti, i cambiamonete. Allora fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori del tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi, e ai venditori di colombe disse: «Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!».”

Ecco: “non fate della casa del Padre mio un mercato.” Leggere questo passo del Vangelo e vedere che a Padova, all’interno della Basilica, si poteva accedere addirittura a una sorta di “store ufficiale” mette in evidenza l’enorme contraddizione della Chiesa cattolica. Interessi economici che superano gli interessi spirituali. I primi prevalgono talmente tanto sui secondi da dimenticare un passo del Vangelo che parla chiaro.

La religione fatta business

Il folklore è una cosa, la religione un’altra. Peccato che spesso religione e folklore siano mischiati, e non si capisce dove finisce uno e inizia l’altro. In Puglia, da dove vengo io, e in generale nel Sud Italia, c’è un forte culto per i santi, che nella mente del credente medio non sono altro che statue in cartapesta.

Spesso, addirittura, il culto per un santo supera la venerazione per Dio stesso, cosa che per la religione non dovrebbe essere possibile. In alcuni paesi vicini al mio, è talmente forte la devozione per alcuni santi che i fedeli pagano per portare a spalla in processione il simulacro di cartapesta del santo stesso. Appare chiaro che la devozione, per alcuni cattolici, ha un costo.

Allo stesso modo, ogni paese organizza una festa in onore del Santo Patrono, raccogliendo oboli e donazioni per mettere su la festa: parliamo di migliaia di euro spesi in strutture di legno e lampadine. Tutti soldi, secondo l’idea popolare, spesi in onore del Santo.

Al di là di santi francescani o meno, di figure mistiche, o di chiunque sia il santo venerato, nulla conta: soldi, soldi, soldi. Tutto ciò senza guardare minimamente al messaggio veicolato dalla figura venerata.

Conclusioni

Utopicamente, se oggi il Messia cattolico tornasse qui e si trovasse davanti a un luogo di culto, se osservasse cosa è diventata la Chiesa da lui fondata, cosa penserebbe? O meglio: serve davvero il ritorno di Gesù per certificare l’incoerenza di un’istituzione come la Chiesa, ormai business sotto forma di religione?

Sarò cinico, ma quando la religione si lega indissolubilmente al folklore, a mio avviso genera una sorta di allucinazione collettiva. Tutti coinvolti, tutti miopi e ciechi. Talmente ciechi da non vedere nemmeno le contraddizioni con ciò che si professa.

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