Potrei scrivere quest’articolo solo facendo elenchi. Parafrasando Giorgio Gaber, che elencava cos’è di destra e cos’è di sinistra, potrei riempire tutta la pagina elencando cos’è da uomo e cos’è da donna. Essere sensibile è da donna, essere duro e rude è da uomo. Essere elegante e aggraziata è da donna, essere semplice e senza fronzoli è da uomo. Le materie umanistiche sono da donna, le materie scientifiche sono da uomo. Le bambole sono da bambina, i robot sono da bambini. Il rosa è da ragazze, il blu è da ragazzi.
Potrei andare avanti allo sfinimento, mi fermo. Mi bastano queste poche cose: questo elenco mette già in luce l’assurdità del binarismo. Ma davvero è tutto così semplice? Ma davvero possiamo ridurre tutto a una lotta dicotomica di cose che o sono di una categoria o dell’altra?
L’Happy Meal, Hamtaro e il Transformer
Non ricordo di preciso quanti anni avessi, ricordo però che ero in Calabria da mio zio. Era la prima volta che prendevo un Happy Meal, ero piccolo ed ero eccitatissimo per la cosa. Le sorprese erano due: un peluche di Hamtaro per le bambine, un robot Transformers per i bambini. Partiamo male: a me i robot hanno sempre fatto schifo. Di contro, amavo follemente Hamtaro, collezionavo le sorprese che uscivano dalle patatine, mi pare avessi tipo dieci dei cricetini che erano i personaggi del cartone animato.
Io panico, sono un maschio e ora mi danno il Transformer: io volevo Hamtaro. Mia madre mi rassicurò e chiese in cassa di avere “un Happy Meal per maschi ma con Hamtaro”. Questa è una situazione che nella vita ho sempre dovuto affrontare: i maschi non giocano con le bambole, i Coccolotti non sono per bambini, i Bon Bon Malizia sono per femmine. E, come sopra, potrei continuare allo sfinimento.
Ora le cose, fortunatamente, stanno cambiando, questo binarismo sta cadendo. McDonald’s non distingue più sorprese per bambino e sorprese per bambina. Gli uomini mettono lo smalto e anche la gonna. Ma siamo disposti a non giudicare i maschi che non incarnano l’idea sociale di uomo?
Il patriarcato e le categorie di genere
In un articolo in cui parlavo della violenza sulle donne, ho già affrontato la questione. La semplifico qui, in quanto è funzionale al prosieguo dell’articolo. La distinzione dei ruoli tra uomo e donna non ha nulla di biologico: i ruoli previsti per uomo e donna sono ruoli di derivazione culturale. Il patriarcato permea la nostra cultura. Ci siamo immersi e influenza la nostra visione delle cose anche quando non ce ne accorgiamo.
Non esiste nulla di biologico che determini a monte che le bambole sono da bambina o che solo le donne possono mettere il rossetto. Sono stratificazioni culturali che diamo per buone, le diamo ormai per sedimentate e ci atteniamo a quelle: chi va fuori da queste consuetudini è il diverso e va additato.
Ero un bambino con atteggiamenti che venivano giudicati come femminili. Non ero sufficientemente “uomo” da essere uomo, ma non ero nemmeno una donna. Rompevo la regola, non mi etichettavano in una delle due categorie, per tutti ero “un finocchio effemminato”. Quando mi dicevano questo, non accettavo la mia omosessualità, per cui sentire certe parole per me era devastante, ci stavo malissimo. Col tempo ho lavorato per nascondere e mettere da parte quel mio lato femminile. Mi vergognavo.
Riscoprire la propria femminilità
Dopo otto anni di improvvisazione teatrale, in preda alla frustrazione, ho deciso di abbandonare il teatro e iniziare tessuti aerei. Inizio il corso, ero l’unico ragazzo. Fare questa disciplina richiede fluidità, quella fluidità di movimento che socialmente è attribuita alle ragazze. Così ho iniziato a fare i conti con il dover tirare fuori quello che per la società è femminile. Sottolineo: per la società. Ok, per me un dramma. Un tronco rigidissimo: ma come? Non mi avevano sempre detto che ero troppo femminile?
I conti definitivi li ho fatti quando ho scelto di intraprendere un percorso per iniziare a fare la Drag Queen. Prime due giornate di corso, mi veniva chiesto di tirare fuori la “femminilità”. Niente, non c’era verso. Per cui mi chiedevo: quel mio essere femminile che mi aveva fatto guadagnare tante prese in giro da bambino e da adolescente, dov’è finito? Mi sono reso conto che avevo nascosto tutto, quella femminilità io non la volevo vedere. Mi ero convinto, pur da omosessuale che si accetta pienamente, che ci sono atteggiamenti da uomo e atteggiamenti da donna. Ma è davvero così? Ovvio che no.
Nel secondo weekend del corso per aspiranti Drag Queen, le cose cambiano. Iniziamo a sperimentare il trucco. Il primo giorno i risultati sono stati nefasti. Il secondo giorno mi affido alle mani di Lalique Choette, Drag Queen e attivista che tiene il corso: il risultato è un trucco che a me piaceva davvero tanto. Finisco con le labbra in tinta rosso scuro e una parrucca rossa da paura. Mi guardo allo specchio. Mi sono vista bellissima. Sì, con la “a” finale.
Con quel trucco e con quella parrucca mi sentivo a mio agio. Non esisteva “questo non è da uomo”. Era come se, così truccato, mi fossi legittimato a essere fino in fondo me stesso. Io mi sento uomo, mi piace il mio corpo da uomo. Ma questo vuol dire che io debba reprimere ciò che per la società da uomo non è? Esistono dei canoni femminili e dei canoni maschili? Questi canoni sono invariabili e invalicabili? Posso sentirmi ugualmente uomo pur truccato e con una parrucca?
Conclusioni
Mi perdonerete se ho un po’ semplificato la faccenda, come al solito, non volevo offrirvi una trattazione esaustiva degli studi di genere. Volevo spingervi a riflettere su quanto le differenze tra uomo e donna non siano altro che stratificazioni culturali: non esistono cose da uomo e cose da donna. Esistiamo soltanto noi, quello che ci fa stare bene e quello che ci va di fare. Non esiste un canone intoccabile di femminilità, un corpo più femminile di un altro. Stesso discorso vale per la mascolinità.
Esistiamo noi, i nostri corpi, le nostre libertà, la nostra voglia di essere noi stessi. Al di là di ogni stereotipo, al di là di ogni binarismo. Al di là di ogni pregiudizio.