Per lavoro mi occupo di utilizzare i social media per comunicare, ne studio e ne conosco le dinamiche, mi approccio a queste piattaforme con sguardo critico, sguardo curioso e spesso spaventato. Dei social media riconosco il forte potere comunicativo, benefico e aggregante. Ma sono strumenti particolarmente pericolosi, specialmente se non ne conosciamo le dinamiche retrostanti e gli effetti che possono avere sulle persone.
Recentemente ho finito di leggere il libro “Sociability – Come i social stanno cambiando il nostro modo di informarci e fare attivismo” di Francesco Oggiano. Libro scritto bene, piacevolissimo alla lettura, ma soprattutto libro che tutti dovremmo leggere per avere chiaro come funzionano i social media in particolar negli aspetti dell’informazione. Proseguiamo per step.
Sociability di Francesco Oggiano
Se prendo il libro in mano, dietro posso leggere “un libro per capire come funzionano i social, e soprattutto come funzioniamo noi dentro i social”. Ecco, questa frase riassume perfettamente un problema: ma noi siamo pienamente consapevoli di cosa facciamo all’interno dei social media? Siamo consci di come queste aziende, perché di aziende volte al profitto si tratta, influenzano i nostri comportamenti sulle loro piattaforme? Sappiamo come vengono usati i nostri dati e ogni nostra singola azione? Temo proprio di no.
Il libro analizza alcuni concetti interessantissimi: la quello di “fuck news” (che approfondiremo nel prossimo paragrafo), le dinamiche che caratterizzano i linciaggi e le shitstorm sui social media, la cancel culture, l’attivismo delle celebrità, il brand activism, l’utilizzo di queste piattaforme fatto da parte dei politici concludendo con un capitolo sul metaverso. Alcuni di questi argomenti, li ho affrontati in diversi articoli di questo blog, il libro ne offre una trattazione più completa e con la visione di un Digital Journalist, offre quindi una visione più lato informazione rispetto alla mia che è più orientata al marketing e alla comunicazione.
Il libro si chiude con 10 consigli che l’autore ci offre, per poter vivere meglio i social media e per poterci a questi provare ad approcciare in maniera più consapevole e funzionale. Questi dieci consigli li vedremo in un articolo successivo.
Il concetto di “Fuck News”
Avete letto bene, ho scritto “Fuck News” e non “Fake News”. Ho già sviscerato il concetto di Fake News quando ho parlato del concetto di Post Verità, però esiste una sfumatura di questo fenomeno che merita approfondimento. Parlo di sfumatura, sottolineando il concetto, a me molto caro, per cui il mondo non è bianco o nero, e anche in questo caso, non esistono solo notizie vere e solo notizie false.
Per capire il concetto di “Fuck News”, ovvero quella news che quando la leggiamo ci fa esclamare “fuck”, dobbiamo però fare un passo indietro e capire come si è evoluta l’editoria con l’avvento di internet e dei social media. Ogni azienda, e ogni settore, basato le decisioni aziendali, le strategie di prodotto e il loro stare sul mercato su quello che viene chiamato “Modello di Business”, che non è altro che il modello sulla base di cui l’azienda è organizzata per conseguire il profitto.
In passato, il Modello di Business dei giornali e dell’editoria, era un modello molto semplice e lineare, ovvero: vendo giornali e guadagno dal ricavo della copia venduta e dalla pubblicità, questo al netto di eventuali sovvenzioni statali. Quindi, in passato, per leggere un articolo sul giornale, dovevo comprare il giornale, quindi dovevo pagare. Internet ha sovvertito questa abitudine, mettendoci a disposizione un’infinita quantità di informazioni gratuitamente. Ne è conseguito un cambio di abitudine del lettore nel fruire i contenuti informativi, in quanto si è abituato alla gratuità dell’informazione.
Cosa succede quando il consumatore cambia abitudini? Viene messo in discussione in Business Model, in quanto diventa inadatto al nuovo modo di consumare del potenziale cliente. Quando leggete un articolo online, quell’articolo è gratuito, perché qualcuno sta pagando quel giornale online tramite l’inserimento di banner pubblicitari. Questo cambio di paradigma fa si, che i giorni debbano aumentare la raccolta pubblicitaria, in quanto viene meno il ricavo derivante dalla vendita delle copie del giornale.
Eccoci ad un passaggio fondamentale: più è alto il traffico al sito del giornale, maggiore sarà il costo che l’inserzionista dovrà pagare al giornale per avere un banner pubblicitario. Al netto di programmi a pagamento per avere l’accesso ad alcuni contenuti, il giornale deve lavorare per fare in modo che più persone possibili transitino sul proprio sito. Qui entrano in gioco le “Fuck News”.
Sono quelle notizie vere, ma che sono presentate sui social con un titolo dell’articolo in modo da farci esclamare “fuck”, indignarci, generare un emozione forte che ci spinga a interagire col post, aprire l’articolo e generare traffico.
Il rischio delle Fuck News
Se apriamo quell’articolo, scopriamo che in realtà il titolo non ci ha che ingannati, perché la notizia è molto diversa da quella che appare. Facciamo un esempio ripreso dal libro di Francesco Oggiano: dicembre 2021, la giornalista Greta Beccaglia è fuori dallo stadio a raccogliere le impressioni dei tifosi post partita. Un uomo le dà uno schiaffo sul sedere, cosa ovviamente inaccettabile. Il giornalista in studio dice “Non te la prendere, Greta”. Ecco che monta il caso: il giornalista maschio bianco e sicuramente sessista, ha minimizzato il la violenza subita dalla collega donna. Sui social monta la rabbia, tutti ad esclamare “fuck” davanti alla notizia.
Peccato che le cose non stessero così, il video integrale e un’intervista alla stessa Greta Beccaglia, sconfessano la versione che si era affermata a furor di popolo. L’affermazione del giornalista in studio non era un “non farla lunga e non rompere che è solo una pacca sul culo” , ma era un invito a non dar seguito in un contesto non semplice dove le cose sarebbero potute degenerare. Beccaglia ha dichiarato come, dopo l’accaduto, il collega l’abbia rincuorata e spinta a denunciare tutto. Il giornalista in studio poteva reagire diversamente? Si. Poteva usare frasi più consone e che ci sarebbero piaciute di più? Si. Però ha avuto solo la colpa di aver usato una frase equivocabile, non di aver avuto un approccio sessista.
Conclusioni
Cosa ci insegna questa storia? Non tutto è come appare e fermarsi solo all’apparenza rischia di farci indignare per cose che non sono reali. La velocità con cui corrono i social media, il cambio del modello di business dell’editoria, la superficialità con cui ci approcciamo alle notizie sono un mix pericoloso.
Chiunque utilizza queste piattaforme, deve sottostare al funzionamento dell’algoritmo che premia contenuti che generano emozioni negative e che sono divisivi per gli utenti, quindi proprio le “fuck news”. Come afferma Oggiano, se una notizia sembra troppo assurda per essere vera allora sicuramente non lo è. Davanti a quello che vediamo sui social media, resta sempre imprescindibile, coltivare una sana cultura del dubbio.